Il portale

Abbazia | Il portale centrale Nel portale centrale, che presenta tre arcate che vanno rastremandosi, la lunetta è divisa in cinque scomparti. I due laterali presentano una grande rosa (in quello di sinistra la rosa è sormontata da un’aquila che stringe una lepre). Nel pannello centrale è invece raffigurato S. Clemente assiso in trono con la mano destra in atto di benedire mentre con l’altra tiene il pastorale. Alla sua sinistra Leonate che consegna il modello della chiesa che va ricostruendo: la chiesa è rappresentata con il rosone e le quattro arcate previste forse dal progetto iniziale invece delle tre poi eseguite e raffigurate nell’architrave sottostante.Alla sua destra Cornelio, martire, con il manipolo e S. Febo con manipolo e stola; l’iscrizione incisa nel libro di Febo Homo quidam nobilis è l’incipit della parabola dei talenti rubati mentre il testo di Cornelio si riallaccia ad una epistola letta durante le festività di S. Clemente. La collocazione di S. Clemente al centro dei pannelli vuole quindi simboleggiare nella storia dell’abbazia la continuità, l’unione fra il momento delle origini e quello presente egregiamente rappresentato da Leonate. Nell’architrave viene illustrata, come in un fumetto, la leggenda della fondazione dell’abbazia: le iscrizioni (qui come nella lunetta eseguite con la tecnica del niello: le incisioni effettuate cioè sono riempite con una pasta di rame, piombo, zolfo, argento e borace rosso che, indurendosi, rende la scrittura nera e indelebile) chiariscono fatti e personaggi. La rappresentazione può essere divisa in quattro parti in ognuna delle quali è presente Ludovico II:

1) In una città simboleggiata da una torre (Roma) papa Adriano II consegna i resti di S. Clemente chiusi in un’urna all’imperatore Ludovico II che li accoglie chino, quasi con deferenza. L’abbazia nasce quindi con il consenso delle due massime autorità del tempo – il papa e l’imperatore – che non hanno però pari dignità: Ludovico II sembra infatti genuflettersi di fronte all’autorità del papa.

2) Suppone, con la spada simbolo dell’autorità politica di cui è investito, guarda Ludovico II che consegna l’urna a due monaci, Celso e Beato, perché la trasportino sul dorso di un mulo nel territorio dell’erigenda abbazia, allora circondata dalle acque. Anche queste non sono figure secondarie: Celso è il praepositus, cioè l’amministratore dei beni dell’abbazia; Beato è il secondo abate; Suppone appartiene alla potente famiglia dei Supponidi e rappresenta in assenza dell’imperatore l’autorità suprema in Casauria.

3) Ludovico II consegna lo scettro di primo abate a Romano.

4) Sisenando, miles ex genere francorum, e Grimbaldo, vescovo di Penne, cedono i diritti che avevano sul territorio di Casauria a Ludovico II mentre il conte Eribaldo (l’ultima figura) assiste alla cerimonia.

Sisenando uno dei grandi proprietari terrieri di questa parte d’Abruzzo, vende dodici moggi di terreno e viene qui rappresentato anche perché condannato nell’873 per aver sposato una donna velata, non si ribella prendendo le armi, bensì si sottomette: un monito dunque di Leonate verso una nobiltà un tempo docile, ora arrogante. Grimbaldo ha invece abbandonato i diritti religiosi Abbazia | Stipite destro che deteneva sull’isola. Nell’atto di cessione di proprietà il venditore consegnava un coltello, una festuca (paglia) e una zolla di terra dichiarandosene estraneo mentre il compratore versava la somma di denaro; dopodichè avveniva la stesura dell’atto: la pergamena veniva sollevata da terra e consegnata agli interessati per la sottoscrizione, rappresentando questa “sublevatio chartae” un vero e proprio atto giuridico della compravendita. Il territorio di Casauria – rappresentato dal cesto con fiori e frutta, fertile quindi – viene perciò acquistato in maniera legale: le rivendicazioni da chiunque avanzate (il conte Eribaldo viene chiamato a comporre le prime contestazioni) non hanno fondamento giuridico. Fra l’equipe di maestri che dovette lavorare ai portali di S. Clemente, Gloria Fossi individua nell’autore dell’architrave l’artista di maggior talento. Negli stipiti sono raffigurati (dall’alto): a sinistra Ugo e Berengario; a destra, Lotario e Lamberto. Le quattro figure – evidente l’ispirazione dai modelli delle cattedrali francesi – reggono un rotolo spiegato, due anche lo scettro: questi potenti dovettero contribuire tutti all’accrescimento di beni dell’abbazia; le parti della chiesa sopra le loro teste sono quelle che probabilmente concorsero a restaurare. Gloria Fossi vi distingue la mano di due maestri: l’esecutore dei personaggi in basso “si differenzia per una maggiore sensibilità nella rappresentazione dei volti e per una tecnica più raffinata riscontrabile ad esempio nei particolari del mantello che ricade dolcemente da una spalla sulla mano coperta dal velo, nell’intensità degli sguardi, sconosciuta alle figure sovrastanti, bloccata in una espressione anonima assente… quest’artista dovette influenzare l’artefice dei due profeti superiori, ma anche quello che eseguì la figura dell’arcangelo Michele, dove il passaggio si raccoglie analogamente in sottili pieghe tra le gambe”.Guardando le figure presenti sui capitelli delle colonne e dello stipite a sinistra del portale bisogna tener presente che nella simbologia medioevale la sinistra era ritenuta la regione del male; vi vengono quindi rappresentati i mostri e i vizi: la prima figura (un uomo vestito con le gambe divaricate) raffigurando lo spirito ed i peccati ad esso aderenti simboleggerebbe quindi l’avarizia; il drago con coda e testa di serpente, che sussurra parole all’orecchio di un uomo rappresenterebbe invece la calunnia. Nel capitello dello stipite di destra – la regione dei buoni auspici – sono raffigurati due animali: uno di loro (un toro?) è cavalcato da una figura che sembra congedarsi dal male passato; simboleggerebbe quindi la vittoria della virtù sul vizio.Le porte di bronzo  furono fatte collocare nel 1191 dall’abate Gioele, successore di Leonate. Bertaux riteneva che Ughelli esagerasse alquanto nell ’affermare Ecclesiae huius ostium aeneum satis mirifice fusum, auroque purissimo incrustatum cioè che le porte fossero incrostate d’oro, tratto forse in inganno dall’ingenua osservazione di un monaco che aveva scambiato per oro il luccichio di qualche lastra. Le porte totius Abbatiae iurisdictionis compendium, et veluti speculum rappresentano un compendio delle proprietà dell’abbazia, anche se il possesso di terre e castelli raffigurati era enfatizzato allo scopo di usurparne già con l’immagine i diritti, non possedendo i monaci in alcuni di questi che qualche villa o casale, non essendo altri più giurisdizione di S. Clemente – e altri ancora forse non erano mai stati Abbazia | Lunetta. Paragonate a quelle di Amalfi (1062), Salerno (1099), Monreale (1168), Ravello (1179) in realtà non ne raggiungono lo splendore artistico. Sono in 72 formelle (lo stesso numero che hanno le porte della cattedrale di Benevento): in 20 vi sono raffigurati i castelli proprietà dell’abbazia – e in passato fu astiosa polemica fra Calore e Pansa per la lettura dei nomi -, in altre distinguiamo tra i vari motivi decorativi la croce di Malta e la mezza luna turca. Interessante è la prima fila di formelle in alto: da sinistra vediamo un rosone, poi un regnante con corona e scettro (Ludovico II) quindi San Clemente in atto di benedire con mitra e pastorale (e non l’abate Gioele come si legge nella fascia superiore. Ma questa formella, come le due successive, non ha la primitiva collocazione), un altro regnante (Guglielmo II), un monaco(Gioele) e un altro rosone. Due formelle si distinguono dalle altre presentando teste di leone a tutto rilievo aventi nelle fauci anelli tortili chiamati anche delle immunità quando infatti sichiedeva protezione all’abbazia e non si riusciva per qualche motivo ad entrare si era ugualmente immuni dalle offese dei laici aggrappandosi agli anelli. Le porte che A. Ludovico Muratori vedeva, incredulo, ancora indenni ai suoi tempi lo erano pure nel 1789, secondo Serafino Ventura, e sopravvissero anche alle devastazioni dei francesi. Quando questi andarono via nel 1799, furono rubate quindici formelle; per prevenire altri furti, l’abate Vito Moccia ordinò allora che fossero portate nella chiesa madre di Castiglione a Casauria dove nel 1811 le vedeva Bernardo de Pompeis, sindaco di Torre dei Passeri, trovandovi però presenti soltanto 40 dei 72 scomparti primitivi. Successivamente tornarono al loro posto; in questa occasione per proteggerle fu messa una porta di legno come foderatura anteriore “con molto poco criterio si permise che fossero tagliati i capitelli e i bassorilievi degli stipiti, per dar luogo alla chiusura della nuova porta, mentre benissimo si potevano tagliare gli spigoli di legname di essa”. Le mancanti furono poi reintegrate in legno: i riquadri degli ultimi due castelli, in basso, riportano “restaurato” e “A.D. MCMXXXIII”.

Portale sinistro
Abbazia | Lunetta portale sinistro Sulla lunetta del portale sinistro è raffigurato S. Michele Arcangelo, che atterra con la lancia il drago, simbolo del male. Il propagarsi del culto di S. Michele da Monte S. Angelo, dove sarebbe apparso alla fine del V sec., si ha con i longobardi i quali ne avevano fatto il loro santo nazionale dopo una vittoria sui bizantini nel 663 a Siponto, ottenuta mercè la protezione dell'’arcangelo. La vicinanza al centro pugliese e i profondi contatti avuti tramite la pastorizia transumante ne favoriscono la diffusione anche in Abruzzo, dove numerosi sono i luoghi dedicati al santo. S. Michele, alla cui immagine è associato anche il culto dell’acqua, risulta custode sui monti e sui luoghi alti, difensore delle grotte, accompagnatore delle anime dell’oltretomba, ereditando le prerogative del pagano Mercurio che a tal compito appunto assolveva (in quest’ottica l’imbarcazione sottostante, emersa dallo strato di intonaco durante i lavori di restauro simboleggerebbe appunto l’ultimo viaggio).

Portale destro
Abbazia | Lunetta destro Sulla lunetta del portale destro una Madonna con Bambino , rappresentata secondo l’iconografia della Hodegetria – protettrice dei viandanti – mostra evidenti reminiscenze bizantine (l’assenza di sviluppo prospettico nella posizione delle gambe, la minuziosità delle decorazioni nelle vesti della Vergine e del Bambino) e presenta ancora tracce della policromia originaria. Lo Schulz vi ravvisava singolari analogie con una raffigurazione esistente nel campanile della chiesa di S. Pelino a Corfinio e con un’altra presente nella cripta del Duomo di Sulmona (la Madonna delle Fornaci), città dove l’abbazia aveva possedimenti.

Abbazia | Lunetta portale sinistroAbbazia | Lunetta Portale destroAbbazia | Porte in bronzo particolareAbbazia | Porte in bronzoAbbazia | Portale BronzoAbbazia | Capitelli sinistraAbbazia | CapitelliAbbazia | Stipide sinistro